“La storia siamo noi, siamo noi padri e figli…..” Così recita una canzone di De Gregori.

Cartelle scuola

Settembre un mese fatto di tante sfumature: profumi, colori, ricordi, eppure nella nostra mente “finisce l’estate” e la quotidianità fatta di corse e stress è pronta a riprendere il suo posto nella nostra vita. Io lo lego al ritorno a scuola e la mia mente corre a quando ero bambina al mio maestro Manlio Quattrocchi al mio primo giorno di scuola alla A. Manzoni, ai miei compagni, che sono amici ancora adesso. Alle tante esperienze fatte insieme e vissute insieme. Ricordi indelebili nella mia mente e che li porterò per sempre con me. Non credo di essere l’unica, tanto che Pierluigi, mi ha fatto leggere un articolo

del padre scritto sul  primo giorno di scuola di suo figlio. Lo riporto perché penso che ognuno di noi ha vissuto le stesse emozioni e sensazioni, sia come figlio che come genitore. La storia si ripete…

Un primo giorno di tanti anni fa.

MIO FIGLIO VA A SCUOLA

“Papà, sono tornato!”, gridò Pierluigi entrando di corsa nel mio studio. L’annuncio festoso di mio figlio mi trasse a viva forza dal mondo dell’irreale, dove, da qualche minuto, m’ero quasi disperso, e mi ricondusse dall’astratto al concreto. “Tornato da dove?”, chiesi. “Ma dalla scuola”. Era il primo giorno di scuola e me n’ero dimenticato: imperdonabile per un padre. Attirai a me il mio bambino, lo feci sedere sulle mie ginocchia. “Racconta, allora: com’è andata? Che cosa hai fatto? Com’è la maestra? E i compagni?”. Le domande dovettero sembrare troppe a Pierluigi, che mi chiuse affettuosamente la bocca con la mano, esclamando: “Aspetta, papà: adesso te lo dico”. E prese a raccontarmi, a modo suo s’intende, con un disordine narrativo proprio dei suoi sei anni, le emozioni del primo giorno di scuola.

Parlava e parlava, il mio bambino. Diceva dei compagni, della maestra, dei bastoncelli che aveva cercato di fare dritti il più possibile, senza riuscirci molto. E ancora: l’ora di colazione, l’ora della ginnastica. Parlava con una foga insospettata:” la maestra ha detto che… la maestra non vuole che… la maestra, la maestra…”.

Lo ascoltavo e il mio pensiero si mise a correre indietro nel tempo all’impazzata per fermarsi al primo giorno di scuola di tanti anni prima quando, confuso con gli altri bambini, anch’io varcai il portone dell’”Umberto I”, timidamente appeso al braccio di mia madre. Mi rividi fanciullo e riprovai, in pochi istanti, quelle sensazioni che ci sembrano meravigliose soltanto quando non possiamo goderle più.

Anch’io- come Pierluigi – avevo il mio bel grembiule blu con la candida cravatta a fiocco; anch’io mostravo con orgoglio la fiammante cartella color marrone bruciato. Allora, nella cartella, c’era appena un paio di quaderni, c’era una matita che mio padre aveva appuntito con speciale cura la sera prima. “Dove sarà finita la mia cartella?”, mi sorpresi a pensare.

“Allora a maestra s’è alzata e…”, fu ancora Pierluigi a riportarmi nella realtà del presente. Un altro fiume di parole invase la stanza. Dalle sbiadite foto appese alle pareti, mi parve che mio nonno e mio padre abbozzassero un leggero sorriso: le prime prodezze scolastiche del nipote avevano dovuto commuovere anche loro.

Quando Pierluigi, al termine dell’entusiasta narrazione, mi fece vedere i suoi primi scarabocchi che la materna comprensione della buona maestra aveva siglato con un incoraggiante “bravo”, ero commosso. Baciai mio figlio, che, rapido e improvviso com’era giunto, corse via dalla mamma a reclamare un anticipo del pranzo.

Prima di seguirlo per godermi quei suoi momenti di gioia, ebbi un attimo di esitazione, quasi di scoramento. E così, pensavo, anche per mio figlio sono arrivati i primi pensieri, le prime preoccupazioni. Com’è cresciuto in fretta, osservavo. Ieri è già lontano per lui. Dovrò stargli molto vicino, ora: non sarà più sufficiente qualche giocattolo per provargli il mio affetto…

“Papà, corri, vieni a vedere la torta che ha preparato la mamma! Corri!”. Era ancora Pierluigi. Mi chiamava quasi gridando. Uscii in fretta dallo studio. Per il lungo corridoio mi misi a correre.

Carlo Sabatini

Articolo dell’ottobre 1960

Sabrina Rinaldi e Pierluigi Sabatini

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