
Nemi: terra di fragoline, di boschi e di dee
Tra tutti i comuni dei Castelli Romani, di cui tratteremo organicamente in un’altra occasione, Nemi è forse il più discosto: come ha scritto qualcuno a Nemi non ci si arriva, bisogna andarsela a cercare.
Eppure questa piccola località, con il suo lago di origine vulcanica come il più ampio e famoso Albano, è conosciuta da tutti i romani, associata indissolubilmente alle fragoline di bosco: piccolissime, succulenti, costose e praticamente introvabili anche in piena stagione soverchiate da quelle enormi di serra che a meno di tre euro al cestino invadono i mercati.
Nomen omen (Nel nome un presagio)
Abituati a pensare alla campagna romana come un’ordinata distesa di campi solcati da greggi di pecore e tagliati dagli archi degli acquedotti e ai Castelli Romani come una serie pressoché ininterrotta di vigne la zona di Nemi, anticamente interamente boscosa, appare dissonante, ma talmente caratterizzata dal bosco dall’essere all’origine del nome stesso di Nemi, che deriva dal latino «nemus» cioè bosco, foresta.
Il nome completo di questa località, abitata prevalentemente dai latini, era «nemus Dianae», bosco di Diana il che spiega in gran parte il motivo per cui sino all’epoca medievale il bosco è rimasto praticamente intatto ed anche oggi è preservato in buona parte.
I Romani avevano ben chiaro il confine tra sacro e profano e Diana non era certo una delle
divinità più tranquille, di cui prendersi gioco o a cui rendere offesa.
Figlia vergine di Giove e Latona, sorella gemella di Apollo, protettrice delle donne soprattutto nel parto, dea della caccia, dei boschi e della Luna, amante della solitudine, Diana, che in seguito si fonderà con Artemide, era considerata irascibile e vendicativa.
A lei fu dedicato il Santuario di Diana nemorense o Diana auricina dalla vicina città, molto potente ai tempi dei Latini, di Ariccia a cui è collegata da un basolato che aveva la funzione di agevolare il pellegrinaggio al tempio e che ora si trova conservato nel Museo delle navi di Nemi di cui parleremo più avanti.
Un tempio, le cui vestigia possono essere ammirate ancora oggi, eretto quando ormai il culto di Diana si era fuso con quello della greca Artemide al punto che vi sono fonti che collegano il tempio nemorense al culto di Artemide in Tauride (l’odierna Crimea) ed al popolo degli sciti.

La fragraria vesca di Nemi
Non si sa esattamente come la fragola di bosco (il cui nome scientifico è fragraria vesca), questo falso frutto (i veri frutti sono infatti gli acheni che vi sono contenuti) di origine alpina della famiglia delle rosacee, sia giunta sino al bosco di Nemi nella quale ha trovato da più di duemila anni un habitat ideale.
Se ciò sia avvenuto spontaneamente oppure per opera umana non è dato sapere. Quello che è certo è che le fragole fanno parte dei miti norreni e si dice che esse fossero sacre alla dea Frigg, anch’essa protettrice delle partorienti.
Se sia una semplice coincidenza o l’espressione di un’ancestrale origine comune dei popoli europei non lo sapremo mai, nonostante gli sforzi degli studiosi.
Sappiamo ad esempio che Latini e Paleoveneti, che occuparono anticamente il territorio corrispondente alle attuali Tre Venezie, compresa la zona alpina, avevano radici indoeuropee comuni ed in seguito intrattennero rapporti pacifici agevolati dalla lingua: gli studiosi parlano infatti di lingue latino-falische o veneto-latine attestate storicamente nel Veneto, nel Lazio ed in Sicilia.
La principale divinità dei Veneti era Rehitia (o Reitia), protettrice delle acque e del parto, della caccia, delle piante e degli animali. Il suo culto prediligeva le zone boscose, vicino a piccoli laghi nei quali celebrare i riti sacri. Il suo nome deriva dall’antico popolo alpino dei Reti che certamente ebbero rapporti con gli Etruschi o addirittura condivisero con gli Etruschi una comune origine.
Troppe le sovrapposizioni, le sostituzioni, di lingua e di cultura che ci separano dai nostri più antichi progenitori perché nel recente e nel lontano passato nuovi dei e dee, più potenti dei precedenti, hanno scalzato i vecchi, mantenendone, tuttavia, i tratti più significativi.
Restano sparsi gl’indizi, come in un rompicapo, dal quale ciascuno può trarre i significati che più rispondono alla propria sensibilità. Così è stato anche per le fragole che sicuramente hanno un legame ancestrale con la femminilità.

Innanzitutto per la loro forma, che ricorda quella del cuore, per il loro colore rosso che rimanda alla bocca vermiglia delle donne, per la fragranza e la morbidezza (aggettivi che si legano entrambi all’universo femminile) e per i loro veri o supposti poteri afrodisiaci, di seduzione.
Fragole e boschi sono, in moltissime culture, associati ai culti esoterici femminili. A questo stretto legame si riferisce la frase, di non certissima attribuzione a William Shakespeare (che pure vi dedicò un verso nel suo «Enrico V») che recita testualmente:
«la fragola, che cresce sotto l´ortica, rappresenta l´eccezione più bella alla regola, poiché innocenza e fragranza sono i suoi nomi. Essa è cibo da fate».
Meno credibile, invece, è che le fragole di Nemi siano nate dalle lacrime versate da Venere-Afrodite per la morte del suo amato Adone e questo semplicemente perché non è pensabile che Venere-Afrodite si sia recata in un bosco dedicato a Diana-Artemide, la dea che, sotto ogni aspetto, rappresentava il suo opposto e con la quale non erano mancati, nella complessa mitologia greco-romana, momenti di attrito se non addirittura di scontro aperto.
Le navi di Nemi
Oltre che per le fragole di bosco Nemi è famosa per le sue navi imperiali il cui recupero è stata una delle mosse propagandistiche del regime fascista che non esitò a prosciugare, con grande dispendio di risorse ed una notevole capacità tecnologica, una parte del lago. Alla fine degli anni ’30 il recupero era completato e fu costruito un museo apposito inaugurato il 21 aprile del 1940, pochi mesi prima dell’inizio della seconda guerra mondiale.
Le navi, preservate dal lago per quasi due millenni, furono però distrutte da un violento incendio scoppiato nella notte tra il 31 maggio ed il 1° giugno 1944, pochissimi giorni prima della liberazione di Roma.
La storiografia ufficiale attribuisce l’incendio alla vendetta ed allo sfregio degli occupanti tedeschi, che nel museo avevano installato una postazione d’artiglieria, ma molte fonti recenti sono propense a ritenere che esso fu innescato da quei bombardamenti alleati con bombe incendiarie che precedettero l’ingresso delle truppe di liberazione a Roma.
Per quanto brevissimo, il tempo in cui esse rimasero praticamente intatte fu sufficiente a studiarle, fotografarle ed a datarle intorno al 41 d.C. attribuendone la loro costruzione a Caligola e non a Tiberio, come invece la leggenda popolare aveva da sempre tramandato.
A Tiberio ad esempio aveva fatto riferimento, nella famosa canzone «’Na gita a li Castelli (Nannì)» scritta nel 1926 da Franco Silvestri e portata al successo da Ettore Petrolini, il verso dedicato a Nemi:
«E de fragole ‘n profumo, solo a Nemi poi sentì. Sotto quer lago un mistero ce sta, de Tibberio le navi so’ l’antica civirtà».
L’esistenza delle navi non era una leggenda visto che da tempo immemorabile vi erano state immersioni, più o meno autorizzate, che ne avevano portato alla luce reperti, frammenti, suppellettili allo scopo di rivenderle nel fiorente mercato semi-clandestino dell’oggettistica archeologica.
Operazioni che, anche laddove furono ammantate di scopi scientifici, si rivelarono predatorie, distruttive e speculative visto il valore intrinseco dei reperti.
Da una di queste immersioni, compiuta nel settembre del 1827 dal Cavalier Annesio Fusconi avvalendosi di una sorta di campana da palombaro, verrà pubblicato un volume dal titolo «Memoria archeologico-idraulica sulla navata dell’imperatore Tiberio»: un’attribuzione che giustificherebbe i versi della canzone popolare.
Già, ma che ci facevano due navi imperiali nel piccolo lago di Nemi?
Chiariamo subito che non erano navi da trasporto, effettivamente sproporzionate se consideriamo che i due scafi misuravano rispettivamente m. 71,30 x 20 e m. 73 x 24.
Erano, invece, navi rituali, legate alla natura sacra del lago, concepite al pari delle navi egizie in perfetta coerenza con il culto di Iside a cui si orientò Caligola tentandone la correlazione con quello di Diana-Artemide.

Così legate a Gaius Julius Caesar Germanicus, questo il nome di Caligola, che ad un certo punto prese a risiedervi, da subirne la sorte.
Caligola, infatti, odiato per i suoi eccessi e per il suo essere dispotico, regnò per soli quattro anni e fu assassinato dai pretoriani alla giovane età di 28 anni.
Le navi da lui fortemente volute furono depredate delle loro ricchezze e affondate come effetto della «damnatio memoriae», la cancellazione di ogni traccia visibile del suo passaggio terreno, che colpì Caligola.
Il bosco di Nemi tappa del Grand Tour dell’aristocrazia europea e del turismo consapevole contemporaneo
Tra la fine del 1700 e la metà del 1800 divenne praticamente obbligatorio integrare la formazione giovanile dell’aristocrazia europea con il «Grand Tour» (da cui ha origine la parola turismo) alla ricerca delle vestigia del passato ed è grazie alle guide ed ai resoconti di viaggio che in modo pubblico o privato ciascuno di questi giovani e colti viaggiatori aristocratici si sentì di redigere, se abbiamo uno spaccato realistico delle condizioni dei luoghi e degli stili di vita di quel periodo.

Una delle tappe del Tour era Roma che nell’intreccio, allora inestricabile, tra architettura medievale e vestigia romane, grandezza e decadenza, doveva suscitare un’enorme attrazione su quelle menti colte e cosmopolite.
Considerando i mezzi di trasporto e le condizioni, anche di scarsa sicurezza, di allora può sorprendere che Nemi ed il suo bosco siano progressivamente diventati una tappa immancabile del Grand Tour ed il motivo, attestato dai racconti di viaggio e dai dipinti dei viaggiatori, è quasi sicuramente da imputarsi al suo legame con Diana-Artemide, in un periodo storico di esaltazione dei miti greco-romani.
Probabilmente quei viaggiatori si prendevano una pausa da Roma e dalla sua popolarissima «caciara», da quell’inestricabile mescolarsi delle diverse classi sociali, assai stressante per uno straniero, che aveva fatto scrivere al letterato francese Amédée Achard:
«una famigliarità inesplicabile, che da noi sarebbe mostruosa, unisce a Roma gli uomini di ogni classe… Ho veduto davanti al banco di un friggitore all’aria aperta comprare e mangiare dei pesciolini serviti sopra una foglia di vite un soldato, un pastore, un prete, un signore in abito nero, un cappuccino, un operaio, una nutrice, un mulattiere e due o tre cittadini in marsina. Essi gustavano il loro fritto e discutevano amichevolmente dei suoi meriti».

A Nemi e nel suo bosco i viaggiatori europei da un lato ritrovavano un luogo ed un panorama familiare tanto simili a quelli delle loro origini, dall’altro, in quel territorio allora praticamente intatto se non per il piccolo borgo medievale, i segni tangibili del potere di Diana-Artemide, in quel mescolarsi tra sacro e selvaggio che è una peculiarità della cultura nordica.
Un percorso, quello dei giovani aristocratici, che, con una piccola attrezzatura da trekking e l’ausilio di una guida locale, è possibile fare ancora oggi in ciò che è rimasto del bosco sacro di Diana.
Una passeggiata da fare con i sensi tesi e senza depredare il bosco dei suoi fiori spontanei e delle sue succulenti fragoline (che si potranno acquistare alla sagra del 4 giugno) attenti a non turbare Diana per non incorrere nelle sue ire e nei suoi dardi.
Ella, che ci crediate o meno, veglia ancora su quei luoghi.
Al prossimo percorso.
Stefano Sorrentino

Alessandri 25 – Cucina Identitaria
