Il Principato San Martino
Visitando San Martino al Cimino, un angolo di paradiso della Tuscia sui Monti Cimini, con le sue vie e le sue caratteristiche casette a schiera, ti rendi subito conto che non si parla di una semplice frazione del Comune di Viterbo ma di un vero Principato, così come lo voleva e sognava Donna Olimpia.
Se potessero parlare le strade ed i suoi caratteristici mattoni, ci racconterebbero delle sue avventure ricche di fascino e bellezza, partendo sin da subito dalla sua magnifica Abbazia cistercense.
I primi a gettare le fondamenta del borgo ed edificare l’abbazia furono i monaci cistercensi di Pontigny nel XIII secolo.
Solo nei secoli successivi, il borgo conobbe una vera espansione urbanistica, demografica ed economica, e questo grazie all’interessamento di Olimpia Maidalchini, più nota come Donna Olimpia, vedova del marchese Pamphilio Pamphilj e cognata di papa Innocenzo X, dal quale ebbe il titolo di Principessa di San Martino al Cimino.
Le vere figure di questo racconto sono proprio Papa Innocenzo X e la spregiudicata intraprendente Donna Olimpia Maidalchini Pamphili, che fece diventare la perla dei Cimini un Principato.
Nata a Viterbo il 26 maggio 1591, schiva elegantemente la vita monastica a cui il padre voleva destinarla perché lei aveva altri, più ambiziosi, progetti.
Risoluta e determinata decise di rivalutare il piccolo paese dei Cimini e si deve proprio a lei l’ampliamento del complesso monastico che oggi possiamo ammirare facilmente.
La sua attenzione ai dettagli le permise di assoldare niente di meno che il Borromini che si occupò della ristrutturazione architettonica del borgo e la sistemazione dell’abbazia dei cistercensi, realizzando due campanili che avevano anche la funzione di contrafforti dell’edificio, distinguibili ancora oggi.
A sua volta affidò all’architetto militare Marc’Antonio de Rossi di progettare il disegno delle mura perimetrali, delle porte e delle abitazioni, non dimenticando altre strutture pubbliche quali lavatoi, forni, macelli, teatro e piazza pubblica.
Di interesse architettonico sono anche le caratteristiche casette a schiera costruite all’interno del muro di cinta, che rappresentano il primo esempio conosciuto di “casa a riscatto”.
“La realizzazione viene definita un esperimento urbanistico ante litteram: i costruttori del palazzo di corte furono gli stessi che poi acquistarono le case a riscatto, costruite mano mano attorno ad esso: i primi esempi di costruzione pianificata. Le casette, addossate le une alle altre, ospitavano i sudditi all’interno del borgo che era dotato di tutto quanto necessitasse (spacci, osterie, divertimenti organizzati).
La principessa aveva esentato i sudditi dal pagamento delle tasse, voleva essere benvoluta creando attorno a sé un nutrito stuolo di sudditi, al punto di stabilire una dote alle ragazze che dopo il matrimonio avessero scelto di rimanere nel paese”.
Contemporaneamente a questi interventi Donna Olimpia ordinò anche la realizzazione di un sontuoso palazzo, ovvero il Palazzo Doria Pamphili, riprogettando e riorganizzando il borgo in essere. Quest’edificio, affiancato all’abbazia dei monaci, fu realizzato grazie all’utilizzo di materiali di risulta che provenivano dalla ristrutturazione del palazzo romano di Piazza Navona, appartenente alla stessa famiglia e dove la nostra Olimpia abitò per alcuni anni, sempre con la benedizione di Innocenzo X, della famiglia Phamphili, che nel 1644 fu eletto papa.
Della vecchia abbazia cistercense non rimane che qualche elemento: la parte absidale ed il transetto della chiesa, una modesta porzione del chiostro e qualche lembo della sala capitolare e dello scriptorium. Olimpia Maidalchini morì di peste nel 1657 e la sua salma venne inumata nel coro della chiesa abbaziale.
Curiosità:
All’interno del secentesco Palazzo Doria-Pamphili
è possibile vedere una vera e propria rarità. Il soffitto a cassettoni della stanza da letto di Olimpia Maidalchini, ha una particolarità comune soltanto ad altri due palazzi in Europa, che è quella di potersi abbassare tramite un sistema di carrucole, per ridurre il volume totale della stanza, favorendone il riscaldamento.
Alla morte di papa Innocenzo x Pamphlili, il suo successore Alessandro Chigi la fece allontanare da Roma a seguito delle sue azioni di brama di potere ma soprattutto di tesori. Da qui il soprannome di Pimpaccia ( le pasquinate la descrivono cosi) dal nome di un opera teatrale ( la pimpa) che metteva in scena la figura di una donna bramosa e avida di potere.
Della vecchia abbazia cistercense non rimane che qualche elemento: la parte absidale ed il transetto della chiesa, una modesta porzione del chiostro e qualche lembo della sala capitolare e dello scriptorium. Olimpia Maidalchini morì di peste nel 1657 e la sua salma venne inumata nel coro della chiesa abbaziale.
Ti è piaciuto l’articolo? Vuoi proporci dei percorsi? Se sei interessato e vuoi saperne di più, contattaci Esplora Roma e Dintorni organizza visite guidate per gruppi e non solo. Per informazioni puoi contattarci tramite e-mail saremo lieti di scambiare idee e opinioni
Attraverso il BLOG vogliamo creare un dialogo con le persone interessate all’arte e all’enogastronomia del territorio e di percorsi Paesaggistici Culturali vi invito a commentare gli articoli che vengono pubblicati.
Chi volesse utilizzare gli articoli a scopo divulgativo lo potrà fare citando la fonte (link alla pagina web) e scrivendo “a cura di Esploraromablog.com”.
2 risposte a "Donna Olimpia e il Principato San Martino"