Chi viene a Roma una passeggiata a rione Trastevere la fa sempre. Non è solo perché è meta turistica, ma perché è uno dei posti più amati da noi romani. Era fino a un po’ di tempo fa, il cuore pulsante del commercio e delle attività produttive della città. Ne testimonia esempio Via dei Vascellari, il quartiere dei vasai, grazie alla vicinanza del porto di Ripa Grande. Girando tra vicoli, botteghe e palazzi ricchi di storia, puoi incrociare il Museo di Santa Maria in Cappella, che è stato aperto a ridosso della chiesa Santa Maria in Cappella, situata in Vicolo di S. Maria in Cappella, 6.
Questa piccola chiesa dedicata al culto della Vergine, venne consacrata da Papa Urbano II, ed una lapide posta sul lato destro dell’entrata, ne testimonia il fatto nel 1090.
Questo è quello che c’è scritto nell’epigrafe:
ANNO DNI MILLXC IND.III.MEN.MAR.
D.XXV.DEDICATA.E.HEC.ECCLA.SCE.MARIE.
QUE APPELLA.AD.PINEA.PER.EPOS.UBALDU.
SAVINEM.ET IOHM.TUCULANS.TEM.DNI.
URBANI.II.PAPE.IN.QUA.SUNT.RELIQE.
EX.VESTMINENTIS.SCE.MARIE.VIRG.REL.S.PET.
APLI.CORNELII.PP.CALIXST.PP.FELICIS.PP.
YPPOLITI.MART.ANASTASII.MAR
FELIX.MARMENIE.MARTYRIS.
DA.DAMASO.VITAM.POST.MORTEM.XP.REDEMPTOR
E’ incerta l’origine del suo nome, tanto che vi sono diverse interpretazioni, tanto che l’espressione “que appell”, divenne nel gergo popolare cappella.
Si dice anche che il nominativo cappella derivi dal latino “cupella”, ossia barile, un termine indicante un piccolo recipiente da 5 litri. Infatti nel XV secolo la Compagnia dalla Confraternita dei Barilari aveva in questa chiesa la sua sede.
Sullo stipite troviamo anche la prima opera attribuita al Borromini . Fatta realizzare da Giovan Battista Calandra in micromosaico (mosaico filato) in occasione del giubileo di Urbano VIII Barberini (1625) per la basilica di S. Pietro, come sigillo della porta santa alla chiusura dell’evento.
Sul mosaico compaiono le api Barberini e la fronda d’ulivo dei Pamphilij. Quando Innocenzo X Pamphilij riaprì la porta santa per il suo giubileo, nel 1649, ruppe simbolicamente il sigillo, sono ancora visibili le tracce del martello lungo il profilo del mosaico, e ne fece dono al cardinal nipote Francesco Maidalchini, nipote di donna Olimpia, e per questa via il piccolo mosaico venne riposizionato sullo stipite della porta della chiesa, che era divenuta la cappella privata dell’adiacente giardino di donna Olimpia in Trastevere.
L’Armellini riporta il resoconto di una visita effettuata alla chiesa durante il pontificato di Alessandro VII (1655-1667):
Il prete che hora ha la cura di detta chiesa è don Francesco Carrone fratello del signor marchese di s. Tommaso, consegliero e primo segretario di Stato del serenissimo duca di Savoia che per sua provigione riceve scudi quattro e mezzo, con obbligo di ponere cera, oglio, biancheria, hostie e vino… Questa chiesa ha tre altari, cioè l’altar maggiore con un quadro della b. Vergine, a destra l’altare della Natività di N. S. con alcuni pastori, a sinistra l’altare della Purificazione. È alta palmi 22, lunga 70, larga 10. Al suo ingresso vi è il cimitero circondato di basso muricciuolo: anticamente vi era l’hospitalità dei poveri.
La chiesa nel tempo passò di mano in mano da Francesca Romana, il suocero fondò un ospedale, che lo cedette alle Oblate di Tor de’ Specchi, che passarono poi nel 1540 alla compagnia dei barilari.
Nel 1653 entrò a far parte delle priprietà della famiglia Doria Pamphilj e ottenendo pieni poteri sulla chiesa di Santa Maria dal cognato papa Innocenzo X, Donna Olimpia Maidalchini Pamphilj, diede l’impulso per l’acquisto di case, torri, granai e luoghi di pesca attorno all’edificio sacro.
Donna Olimpia, detta la Pimpaccia, trasformò tutta l’area in un casino “belvedere”, con un meraviglioso giardino di delizie, detto “i bagni di Donna Olimpia“, affacciato direttamente sul Tevere: se ne intravede ancora la facciata dal Lungotevere Ripa, dietro un muro moderno, vi sono delizie con essenze rare, viti e piante da frutto, soprattutto agrumi, e tutt’oggi è fruibile.
4 risposte a "La prima opera attribuita al Borromini"